martedì 9 ottobre 2012

Dal trespolo di casa sua

Reality o dove siamo rimasti a terra Nutless

Cari piumati,

Il nuovo film di Matteo Garrone, Reality, potrebbe benissimo essere riassunto da quella canzone di Vinicio - corvotorvo- Capossela in qui si domanda un pò blasé perché la vita se n'è andata inseguendo qualcosa che in realtà non era così importante. Nella canzone la "vita regolare", nel film il successo.

Luciano Ciotola, Aniello Arena, vive a Napoli con moglie, figlie e una galassia di parenti e amici imparentati. Sopravvive facendo il pescivendolo e compiendo piccole truffe con la moglie. Fa ridere, è simpatico e un pò strano. Lo spingono a volare sul palco dei provini del Grande Fratello e da lì planerà su Roma per una seconda selezione. Da qui in poi l'ordigno della sua vita deflagra e tutto è perduto: pescheria, truffe, serenità, moglie e sanità mentale.

Poteva restarsene a casa sua ad ascoltare i Kings of Convenience come faccio ora che scrivo queste parole ma no, lui deve svoltare, deve risolvere i suoi problemi andando al Grande Fratello. Vabbè, contento lui, cerchiamo di andare più a fondo sulla questione.


Tra ciccioni spiaggiati, anziani sdentati e italiano balbettato, Matteo Garrone mette in piedi un congegno viscido e puzzolente che appena usciti dal cinema vi sembrerà l'ennesima, fuori tempo massimo e stancante denuncia di quello che l'Italia è diventata dai tempi di Silvio in poi. Ecco, bravi, state sbagliando, uccellini cari! E stavo sbagliando pure io, trafitto da tutto il cattivo gusto etnologico messo in mostra da Garrone. Il film non è questo, o meglio, non è solo questo. Siamo solo al primo livello, il più superficiale. Questo film è il racconto di un incubo. Non quello di Luciano, quello di tutti noi. Questo è un grottesco film d'orrore: è la cronaca di quello che siamo quando apriamo gli occhi, ogni giorno, uccelli spennacchiati e denutriti che si appollaiano sulle rovine di un impero crollato ormai secoli fa senza alcuna possibilità di sollevarci. Garrone parla come se fossimo a un milione di anni luce da qui e ora e ci guarda puntandoci uno specchio contro. Ci vediamo e data la lontananza non ci riconosciamo e vediamo sfocato quanto lo specchio mostra. Luciano siamo tutti noi che aspettiamo uno squillo del nostro telefonino comprato a rate. Dall'altro capo del filo ci sarà sicuramente la dritta, la svolta, la botta di culo che sistema tutto.

Lo so, lo so, non sono proprio un grande ottimista stamattina, avete ragione. Il fatto è, cari piumati miei, che quello che mi appare chiaro qui è che non siamo malati urlanti il proprio star bene mentre nessuno ci ascolta: siamo matti tra altri matti e tutti ci diamo ragione a vicenda in una coreografia corale sempre più complessa e veloce. A vederci dal cielo - si prendano le sequenze di inizio e conclusione del film - da milioni di anni luce da qui sembriamo anche luminosi e tutto sommato felici perchè tanto malati da essere sicuri che, primo o poi, quel telefono suonerà!

A presto dal trespolo di casa sua,

il Vostro corvaldo

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